In tema di discriminazione, la manifestazione del proprio pensiero sui “social network”, anche se inizialmente indirizzata ad una cerchia limitata di persone, deve avvenire comunque nel rispetto del criterio formale della continenza e, ove sia accertato che abbia contenuti lesivi dell’altrui dignità, può integrare gli estremi della molestia discriminatoria se rivolta verso un determinato gruppo etnico, in quanto potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato (o comunque quantitativamente apprezzabile) di persone. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, per escludere la lesività del comportamento consistente nella pubblicazione su Facebook di due “post” contenenti espressioni offensive della dignità delle persone appartenenti all’etnia rom, aveva valorizzato la circostanza che gli stessi erano destinati al gruppo privato degli “amici” che l’autrice vantava sul predetto “social network”).

(Cassazione civile sez. III, 26/05/2023, n.14836).

Condividi